Pnei Cuore e Psiche
In un’ampia revisione delle numerose ricerche effettuate, pubblicata su Circulation nel 1999 (Rozanski A et al 1999) e, successivamente nel 2005 sul Journal of the American College of Cardiology (Rozanski A et al 2005), è stato chiaramente evidenziato che i fattori di rischio psicosociali possono essere equiparati ai fattori di rischio biologico, quali cofattori, che possono sia facilitare l’insorgenza del processo aterosclerotico, che l’insorgenza di eventi clinici cardiovascolari.
In particolare, la depressione, l’ostilità, l’isolamento sociale e lo stress vitale acuto e cronico avrebbero una importanza pari alla ereditarietà, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia, il fumo e l’obesità.
La depressione, sia maggiore, che minore e atipica, rappresenta un fattore prognostico negativo, che determina un aumento significativo della mortalità sia per cause cardiovascolari che per altre cause, in pazienti con malattia coronarica nota e scompenso cardiaco a genesi ischemica e non ischemica.
Gli stressors psicosociali, ovvero i cosiddetti atteggiamenti depotenzianti secondo la Pnei, agirebbero sia indirettamente, favorendo uno stile di vita a rischio (fumo, fame nervosa, dipendenze, etc), che direttamente, attraverso l’attivazione del sistema coagulativo, i sistemi neurovegetativo, endocrino, immunitario e la vasomotricità coronarica e vascolare in genere.
Nonostante la comunità scientifica concordi unanimemente sull’importanza dei fattori di rischio psicosociali, ancora contrastanti e incerti sembrano essere i risultati degli studi di intervento psicoterapico, volti a modificare tali fattori e migliorare la prognosi dei pazienti cardiopatici.
Nel Dipartimento di Malattie Cardiovascolari dell’ospedale San Filippo Neri di Roma è stato elaborato un protocollo di studio volto a verificare l’efficacia di un approccio psicoterapeutico breve di supporto nei pazienti con infarto miocardico acuto trattati con PTCA primaria o rescue o d’urgenza, e terapia medica ottimale (Roncella A et al 2009).
Le conclusioni: chi ha seguito la psicoterapia ha mostrato minore ricorrenza di eventi cardiologici e di ricoveri per cause cardiologiche, migliore classe funzionale NYHA, minore ricorrenza di nuove patologie mediche e una riduzione del livello di depressione. Se tali dati preliminari verranno confermati al completamento dello studio, si potrà avviare un percorso che proponga l’istituzione di un approccio psicoterapico in tutti i pazienti con infarto miocardico acuto, quale terapia fondamentale e complementare alle terapie mediche e interventistiche attuali.