L’importanza di nutrirsi
Nutrirsi non è semplicemente un momento di soddisfazione di un bisogno fisiologico, ma è un’attività a cui l’individuo attribuisce molteplici significati. Nel neonato l’alimentazione assume forti connotazioni comunicative e simboliche: la relazione madre-bambino, che si sviluppa nel momento dell’alimentazione, è centrale sia per la formazione del legame di attaccamento sia per la strutturazione dei rapporti di reciprocità, base del futuro sviluppo della comunicazione intenzionale e dell’articolarsi della conoscenza di sé e del mondo.
Tra una madre e suo figlio si instaura una comunicazione emotiva simile a una danza, madre e figlio si scambiano emozioni e la capacità di una sintonizzazione affettiva all’interno di una relazione diadica “sufficientemente buona” permette al bambino di organizzare esperienze corporee ed emotive, fino ad acquisire il suo equilibrio psicosomatico. È fondamentale quindi che la madre rappresenti una base sicura, capace anche di adattarsi ai bisogni del figlio, di trasmettere al bambino l’idea di essere protetto e, nello stesso tempo, in grado di sostenerlo nell’esplorazione del mondo circostante, esponendolo gradualmente alle difficoltà dell’ambiente.
Nel momento in cui però lo stile materno diviene iperprotettivo e controllante, il bambino non si sentirà più sicuro e interromperà il normale processo di esplorazione, tendendo a voler corrispondere presto a desideri e aspettative materne, piuttosto che sviluppare la propria iniziativa e individualità; questo potrebbe comportare difficoltà a livello dell’interazione sociale, dell’acquisizione dell’autostima e del senso di identità.
La modalità di relazione iperprotettiva tra madre e bambino appare sostenuta più dall’esigenza materna di appagare ansie e bisogni propri, piuttosto che da una sintonizzazione sulle effettive esigenze del figlio. Il bambino obeso cresce solitamente in un ambiente ipercontrollato e restrittivo, in cui il cibo diviene il mezzo per esprimere l’affetto e per placare ansia e sensi di colpa. Spesso i genitori dei bambini obesi mantengono i propri figli in un contesto di isolamento dagli stimoli sociali e in rapporto esclusivo e idealizzato con una madre iperprotettiva. In tale contesto, il comportamento iperfagico del figlio nascerebbe dalla tensione generata nei confronti dei contatti sociali o, più spesso, da un senso di vuoto interno, di noia, dalla sensazione di non avere controllo sulla propria vita.
Considerando il significato che l’assunzione del cibo ha nella patologia dell’obesità, la complessità delle dinamiche familiari e i profondi conflitti psichici che il soggetto obeso deve affrontare, entrando in quel delicatissimo periodo evolutivo che è l’adolescenza, si sottolinea come un approccio integrato divenga fondamentale in ottica sia preventiva sia terapeutica. L’approccio integrato medico-psicologico al paziente, che tiene conto della sofferenza in termini di “complessità” (quale unità mente-corpo), è divenuto fondamentale da quando il baricentro terapeutico si è spostato dal concetto di guarigione a quello di cura. In tale ottica, la diagnosi e la cura dei disturbi in età evolutiva necessitano del coinvolgimento dei familiari del paziente sia per una adeguata comprensione dei disturbi stessi, sia per allestire programmi di intervento mirati, in cui l’alleanza terapeutica con il genitore svolge un ruolo essenziale.
La possibilità di una buona comunicazione con almeno uno dei genitori, la capacità di godere della compagnia degli amici, di avere interessi e di assumersi responsabilità sono state individuate come caratteristiche ambientali e psicologiche che favoriscono il successo di una dieta; al contrario, atteggiamenti genitoriali autoritari, iperprotettivi e perfezionisti costituiscono una delle cause più frequenti di fallimento.
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